La casa da riparare e la lezione delle maschere

Questi giorni ad Assisi con The Economy of Francesco: tante riflessioni scavate nella nostra vita, un’immagine potente e una sussurrata

Hanno cercato per anni di persuadermi che l’economia fosse nutrita di numeri, ma ciò che mi ha guidata e fatta crescere, o almeno ci ha provato, sono donne e uomini impegnati in un cammino non intrappolabile dalle cifre. Adesso, due immagini si posano sul filo della mia memoria – ancora tutta da metabolizzare per me – di “The Economy of Francesco” e chiedono di essere meditate, nel tempo e con il tempo, per imprimere azione alle riflessioni.

Sono la casa e le maschere.

La prima, si rincorre negli interventi fino al messaggio di Papa Francesco. Ma anche nel video che scorre da Assisi e unisce i visi e i commenti dei giovani, i protagonisti di questo evento che il digitale non impoverisce, anzi amplifica. Perché di colpo la casa che si intravede ad Assisi, quella da riparare come fece San Francesco, diventa il mondo. Lo fa nelle voci dei ragazzi che non rivendicano, ma offrono il luogo dove sono nati o crescono. Scorrono davanti a me Messico, Kenya, Uruguay, Portogallo, Argentina, Polonia, Austria, Egitto Bolivia… Mi perdo e mi ritrovo in un grido orgogliosamente responsabile: questo è il primo passo per il nostro futuro!

So dall’Ufficio Stampa che interverranno 2mila iscritti, che ci saranno almeno 12 collegamenti con 120 nazioni, 4 ore al giorno più una maratona di 24 ore il secondo giorno, grazie al contributo di oltre 20 paesi connessi.

Come vedi

C’è una richiesta, pressante, che scivola a unire queste voci: ripara la mia casa che, come vedi, è in rovina. Rintraccio il termine “casa” in diversi interventi culminando in quella del Papa. Spezzo questa frase, che richiede prima di tutto un’azione a San Francesco.

Ripara

Poi individua il presunto oggetto e il suo aspetto

La mia casa, in rovina

Infine, c’è una frase che sembra secondaria, stretta tra le due virgole, ma non lo è. È sostanza, anche dei nostri tempi.

Come vedi.

In realtà, ho lasciato indietro le prime due, determinanti parole:

Francesco, va’.

Quindi la chiamata nominale e la richiesta di un’azione ancora prima della riparazione: andare. Smossero il giovane Francesco, rimarca infatti il Pontefice, e questo diventa un appello speciale per ciascuno di noi, chiamato per nome a intervenire. Sono i giovani di “The Economy of Francesco”, ma anche le altre persone che sono intervenute con una loro veduta carica di interrogativi.

Che cos’è, quella casa? Un’economia in cui ancora testardamente parliamo di “consumi” come la leva primaria per crescere. Anche la terra, da cui attingiamo frutti, o meglio spremiamo, divoriamo.

In entrambi i casi, è potente stimolo alla riflessione la frase “come vedi”. È sotto i nostri occhi che non funziona più questo nostro modo di fare, lavorare, rapportarci, descrivere. Lo vediamo già da un pezzo, a volte ne abbiamo parlato persino, ma è il tempo delle azioni.

La casa incendiata

La casa – che si chiede di riparare – è citata ripetutamente nei giorni di “The Economy of Francesco”. Prendiamo ciò che dice il Premio Nobel per la Pace 2006 Muhammad Yunus: «Il sistema capitalistico attuale è un mondo finto. Dobbiamo tornare all’economia reale. Si dice “l’economia aumenta”, ma per chi? I dati ci mostrano che tutta la ricchezza del mondo è concentrata in pochissime mani: il 99% è in mano all’1%. È un sistema sbagliato: serve condivisione, anche con un Pil più piccolo, ma con ricchezza più condivisa». E poi quell’immagine, sferzante: «Oggi la nostra casa sta bruciando, ma dentro alla casa c’è una grande festa. Non ci rendiamo conto che c’è un incendio. È passare all’azione, non abbiamo molto tempo: venti o trent’anni. Il riscaldamento globale se va da 1,5 a 2°C è finita. Occorre cambiare le nostre politiche, ma parlare non basta, serve agire».

Di casa, parla anche il cardinale Peter A. Turkson del dicastero per la Promozione dello Sviluppo Umano Integrale: «Dobbiamo anche produrre “beni buoni”, cioè beni che servono veramente le persone e rispettano l’ambiente. È tutto questo processo che ha il potere di generare una “buona ricchezza”, che va oltre il mero profitto materiale, che promuove lo sviluppo umano integrale mentre ci prendiamo cura della nostra casa comune».

Prendersi cura della nostra casa comune. Si è aggiunto un aggettivo importante, quello possessivo, che poi porta con dolcezza l’altro attributo, comune.

La chiamata a San Francesco si moltiplica a ciascuno di noi. La casa da riparare diventa comune: lo era già, ma di questo dobbiamo prendere consapevolezza.

Come? Papa Francesco vede la «spinta iniziale di un processo che siamo invitati a vivere come vocazione, come cultura e come patto». Il primo termine indica il coinvolgimento, il non poter stare fuori «da dove si genera il presente e il futuro… O siete coinvolti o la storia vi passerà sopra». Il secondo si realizza con l’incontro, l’opposto dello scarto: la cultura dell’incontro, unisce le voci, come è accaduto con quelle dei giovani in questi giorni.   Al che si arriva al patto: «È tempo di osare il rischio di favorire e stimolare modelli di sviluppo, di progresso e di sostenibilità in cui le persone, e specialmente gli esclusi (e tra questi anche sorella terra), cessino di essere – nel migliore dei casi – una presenza meramente nominale, tecnica o funzionale per diventare protagonisti della loro vita come dell’intero tessuto sociale». È l’economia integrale che ancora affiora, che chiede di pensare con i poveri e gli esclusi, non per loro.  Immergendosi in quest’epoca in cui la pandemia non consentirà indifferenza: «Da una crisi mai si esce uguali: usciamo meglio o peggio. Facciamo crescere ciò che è buono, cogliamo l’opportunità e mettiamoci tutti al servizio del bene comune».

Circondati da maschere

Molti autorevoli interventi e commenti fatti scivolare dai ragazzi con naturalezza impongono ulteriore approfondimento. Come la pennellata offerta dall’arte, da Lau Kwok Hung, in “Sogni e profezie”.

Le maschere che compaiono nel racconto di Assisi, hanno iniziato il loro percorso nel settembre 2019, e prima ancora – come sanno gli attori, come mi rammentava il professor Melchiorre all’università – sussurravano il loro significato di persona. Colpisce come possa variare il significato di questo strumento con l’apparire della pandemia.

Quelle maschere di gesso, nella loro formazione, «incoraggiano a essere resilienti e pazienti». Quando si mette il gesso per la posa, non si può vedere, non si può parlare. Sembra di essere impotenti.

Quell’operazione è diventata anche una profezia, di ciò che sarebbe accaduto con il virus, quando impotenti siamo sfacciatamente: «Ora siamo circondati da maschere». Eppure restano come un pegno della creatività e della libertà umana, tracce dell’arte e dell’economia così legate.

Tutto nelle nostre mani, come nei nostri volti. Sentire il peso delle maschere, ma anche la lezione che ci danno. Prima di vedere, partire, riparare la casa.